Ogni caso, un caso a sé. La storia della violenza alle donne è anche questo.
Così profondi e dolorosi, questi racconti, da non essere archiviati del tutto nel ricordo dei poliziotti della Questura che li raccolgono. Difficili da dimenticare anche se tecnicamente la questione è già risolta da anni, chiusa con una sentenza o una denuncia mai portata avanti.
Sono i vissuti che restano, anche se le donne poi se ne vanno. I casi su cui i poliziotti costruiscono la loro esperienza, saperi e sentimenti, pensieri che si portano a casa.
Le storie che nessuno vorrebbe ascoltare finiscono nelle loro mani e la conclusione non è sempre scontata: tra chi spinge la porta a vetri della Questura c’è chi ha già scelto di denunciare il proprio maltrattante e chi una soluzione non riesce a trovarla, immaginarla magari sì, ma non è ancora pronta. E torna a casa e tutto ricomincia.
Dove tutto inizia, per chi si rivolge alla Polizia, è nell’Ufficio in cui si raccolgono le denunce, a un passo dalla sala d’aspetto sulle cui pareti i poster della campagna nazionale “…questo non è amore” spiegano in otto lingue che se ti offende o ti umilia, ti spinge e schiaffeggia, ti controlla o ti segue, minaccia te e i tuoi figli, pretende sesso quando non vuoi… allora questa è roba brutta, è violenza, non buoni sentimenti.
Il poliziotto dell’Ufficio denunce ha un mandato preciso da rispettare, dettato da una circolare del Questore firmata nel 2018: la donna che vuole segnalare maltrattamenti subiti in famiglia, uno stupro, atti persecutori deve subito essere indirizzata, a seconda dei casi, alla Squadra Mobile o alla Divisione Anticrimine il cui personale lavora a stretto contatto. Verrà accompagnata al secondo piano e oltrepasserà la porta che si apre con il codice, inaccessibile agli estranei e che a lei garantirà riservatezza e protezione.
In questi uffici racconterà la sua storia e sarà aiutata a precisare ogni più piccolo dettaglio, utile a far comprendere se e quali estremi di reato si ravvisano dietro ai comportamenti di chi la maltratta o perseguita. Importante sarà anche mettere insieme i possibili elementi di prova: messaggi ricevuti sul cellulare, lettere, foto, registrazioni fatte col telefonino, ecc.
Se la donna sceglie la strada della denuncia, si lavorerà per trasmettere all’Autorità Giudiziaria un atto il più possibile dettagliato, costruito su basi solide anche in previsione di un eventuale processo. Se si trova in situazione di pericolo ci si attiverà, in collegamento con i servizi del territorio, per trovare una sistemazione fuori casa e occuparsi del suo caso a 360°.
Durante il colloquio, se la donna lo riterrà di aiuto, potrà essere presente la psicologa o la mediatrice culturale se è straniera.
Per paura di ritorsioni da parte del partner o perché recidere un legame, seppure sporcato da percosse, minacce, abusi sessuali, richiede tempo e coraggio, terminata la testimonianza potrebbe succedere che la donna decida di non procedere nella denuncia o di attendere qualche giorno. Forse tornerà in Questura, sapendo di trovare qualcuno di cui fidarsi, rendendolo partecipe del suo dramma (lei così abituata a tenersi tutto per sé).
E se ogni caso è un caso a sé, è anche vero che tante storie si assomigliano, che molte vittime di violenza ammettono con vergogna la loro situazione, si addossano colpe che qualcun altro dovrebbe avere. Negli episodi di maltrattamento in famiglia che non lasciano segni sul corpo, la donna potrebbe non riconoscere pienamente come un atto di costrizione ciò che viene esercitato su di lei.
“Una soluzione che le suggeriamo è quello di tenere un’agenda e scrivere tutto quello che le accade di volta in volta, così da rendersi conto che non è normale. Altre volte leggiamo insieme gli articoli del codice penale che puniscono i comportamenti da lei subiti, in modo che riesca a riconoscersi in quelle stesse situazioni e trovi spiegazione alle sue ansie”.
Daniela Campasso, dirigente Divisione Anticrimine.
Suggerimenti adottati quando l’incolumità della donna non è in pericolo; se invece lo è si insiste sulla necessità della denuncia, richiamando la vittima alle sue responsabilità, anche per tutelare i figli, spesso testimoni impotenti di ciò che accade in famiglia.
L’attività portata avanti negli uffici della Questura può non essere esclusivamente repressiva, ma anche preventiva, per esempio quando il Questore adotta il provvedimento di ammonimento contro l’autore di violenza domestica e di atti persecutori. Per l’uomo che si rende responsabile di maltrattamenti in famiglia può anche essere disposto l’allontanamento da casa e il divieto di avvicinamento alla vittima