Ospedale Cardinal Massaia

Il codice rosa in Pronto Soccorso

Il Pronto Soccorso di Asti è una delle trincee in cui si combatte la violenza di genere.
Ogni anno si rivolgono alle cure dei medici donne vittime di maltrattamenti, aggressioni, intimidazioni, stupri: un catalogo di orrore con casi che, ieri come oggi, vengono a galla per la prima volta o si ripetono da anni.
Nella stragrande maggioranza dei casi le violenze fisiche si consumano tra le mura di casa.

Ciò significa che i responsabili degli abusi sono persone che le vittime conoscono bene: marito, convivente, famigliari stretti, fidanzato, ex partner, amante, amico. Da loro hanno ricevuto schiaffi, pugni, morsi, testate, tentato soffocamento, strangolamento o ustioni, aggressione con arma o oggetti contundenti.

 

Per le donne offese, la violenza domestica è da sempre la prima causa dell’accesso in Pronto Soccorso dove, oltre che le cure, ricevono ascolto e protezione. Ciò riguarda sia le vittime di nazionalità italiana che straniera; tutte le classi sociali sono rappresentate indistintamente, a conferma della trasversalità della violenza di genere.

Oltre alla violenza fisica esiste quella sessuale (rapporti non desiderati, stupro, palpeggiamenti, gravidanza forzata, mutilazioni agli organi genitali) e quella psicologica verbale, che può comprendere insulti, atti di prepotenza, critiche avvilenti, limitazione della libertà personale, gelosia persecutoria, minacce, ricatti, matrimonio precoce o forzato.

 

Molto spesso i confini tra un tipo di violenza e un’altra non sono così definiti e la donna si trova a essere umiliata da una serie di comportamenti concatenati, non esclusi quelli che rientrano nella violenza economica: privazione del cibo o del proprio denaro, parziale o mancata corresponsione del mantenimento (anche dei figli), impedimento a lavorare, sottrazione del passaporto e del permesso di soggiorno, obbligo a firmare, nei luoghi di lavoro, le dimissioni in bianco.
Questa è una realtà che conoscono bene in Pronto Soccorso, storie che rendono la vita delle donne un inferno e che spesso coinvolgono i figli come testimoni o parte offesa.

 

Questa è una realtà che conoscono bene in Pronto Soccorso, storie che rendono la vita delle donne un inferno e che spesso coinvolgono i figli come testimoni o parte offesa.

 

C’è un dato di fatto di cui medici, infermieri, assistenti sociali e mediatrici culturali hanno imparato a tenere conto: quando arrivano in Pronto Soccorso, le donne non sono generalmente mai al primo episodio di maltrattamento, ma convivono con una storia di violenza che può essere anche molto lunga, di anni o decenni. Una cicatrice mai chiusa che, quando si affidano alle cure dei camici bianchi, sta già segnando buona parte della loro esistenza.

Molto spesso i confini tra un tipo di violenza e un’altra non sono così definiti e la donna si trova a essere umiliata da una serie di comportamenti concatenati, non esclusi quelli che rientrano nella violenza economica: privazione del cibo o del proprio denaro, parziale o mancata corresponsione del mantenimento (anche dei figli), impedimento a lavorare, sottrazione del passaporto e del permesso di soggiorno, obbligo a firmare, nei luoghi di lavoro, le dimissioni in bianco.

 

Questa è una realtà che conoscono bene in Pronto Soccorso, storie che rendono la vita delle donne un inferno e che spesso coinvolgono i figli come testimoni o parte offesa.

C’è un dato di fatto di cui medici, infermieri, assistenti sociali e mediatrici culturali hanno imparato a tenere conto: quando arrivano in Pronto Soccorso, le donne non sono generalmente mai al primo episodio di maltrattamento, ma convivono con una storia di violenza che può essere anche molto lunga, di anni o decenni. Una cicatrice mai chiusa che, quando si affidano alle cure dei camici bianchi, sta già segnando buona parte della loro esistenza.

“E’ brutto. E’ come vivere in uno stato di guerra. Ma questa è la loro vita”.

Federica Franchi, medico del Pronto Soccorso e referente per la violenza di genere

 

Da anni gli staff (medici e infermieri) del Pronto Soccorso e di altri reparti del Massaia, come la Ginecologia e la Pediatria, hanno acquisito competenze specifiche per riconoscere e trattare i casi di violenza domestica: la formazione professionale del personale è continua e riguarda anche gli operatori socio-sanitari.
La gestione dei casi di violenza domestica, sessuale e sui minori non s’improvvisa, ma si basa su specifiche procedure operative (protocolli aziendali).

Questo è molto importante perché significa che non ci si limita a curare i sintomi della paziente, ma a dare risposte per facilitare un’effettiva integrazione tra il sistema di cura e i servizi di supporto alla donna attivi in ospedale e sul territorio.

Il percorso in Pronto Soccorso

A partire dall’accettazione al triage, dove afferiscono tutti i pazienti del Pronto Soccorso, alla donna vittima di violenza è assicurato un percorso dedicato che le garantisce assistenza e protezione. La raccolta dei dati personali avviene in modo riservato in uno dei due box del triage. Alla paziente l’infermiere assegna un codice colore, a seconda della gravità delle lesioni e dei sintomi, e il codice rosa, visibile ai soli operatori sanitari, che consentirà al medico che la visiterà di riconoscerla come vittima di violenza, adottando tutti gli accorgimenti necessari.

 

Se la donna accede al triage per violenza sessuale, dal Pronto Soccorso viene subito accompagnata in Ginecologia.
Per tutte le altre lesioni, il suo percorso diagnostico-terapeutico è seguito dal personale del Pronto Soccorso.
Lasciato il triage, la donna viene accolta nella Stanza delle fragilità, in cui resterà per l’intera permanenza in reparto.

In questo spazio molto particolare, che si differenzia totalmente dalle altre aree riservate agli utenti, avvengono la visita e il colloquio con il medico (a meno che, per interventi urgenti dovuti al suo trauma, i controlli non debbano essere svolti in altre sale). Anche i bambini, se la vittima di violenza ha con sé i propri figli, possono stare al sicuro nella Stanza delle fragilità accanto alla mamma.

Il colloquio con il medico costituisce un aiuto alla paziente oltre che il momento in cui viene delineato il tipo di violenza che la riguarda. La raccolta dei dati tiene anche conto di eventuali abusi pregressi.
Ma spesso per la donna è difficile parlare, prova vergogna a raccontare la propria esperienza e si colpevolizza per l’abuso subito. Può avere paura di essere raggiunta dal suo maltrattante, di dover gestire la violenza da sola o, se è straniera, di non potersi esprimere bene o di non essere compresa.
Per tutti questi motivi può succedere che al dottore la donna indichi il trauma, ma non la causa che lo ha determinato.
E’ utile sapere che le informazioni riferite dalla paziente sono strettamente confidenziali; dal momento della registrazione in reparto il nome della vittima viene oscurato; in Pronto Soccorso è attivo un servizio di vigilanza che copre le 24 ore.

 

Saper riconoscere la violenza, osservando per esempio lesioni sul corpo che rivelano diversi stati di guarigione, oppure una condizione di spavento o la tendenza della paziente a minimizzare la portata dei disturbi, significa predisporre il piano di cura, ma anche tracciare un’azione di supporto, rassicurante e non giudicante nei confronti della vittima. Questa strada aiuta la donna a non sentirsi sola e le fornisce le informazioni per comprendere come e con chi è possibile uscire dalla violenza: ci sarà una rete di servizi pronta a sostenerla.

Già nella Stanza delle fragilità è possibile ricevere la visita dell’assistente sociale e successivamente programmare un percorso psicologico. Se la donna non intende rientrare a casa, ma non ha a disposizione sistemazioni alternative, viene aiutata a trovare ospitalità in un luogo protetto, a partire dalla Stanza segreta, attiva nel territorio dell’Asl AT.

La prima mossa per uscire dalla violenza dovrà, comunque e sempre, partire dalla donna: se avrà il coraggio di denunciare chi la maltratta potrà farlo subito, anche in Pronto Soccorso alla presenza delle forze dell’ordine, o nei 90 giorni successivi.
Se deciderà di tornare a casa saranno valutati i rischi e le verranno suggeriti accorgimenti per aumentare la sicurezza sua e dei suoi figli.
In caso di referto con prognosi di oltre 30 giorni, il medico è comunque tenuto a trasmettere il verbale all’Autorità Giudiziaria (se ci sono bambini anche alla Procura dei minori di Torino).
A qualsiasi vittima di violenza, infine, viene assicurata l’esenzione dal pagamento del ticket, che dura un anno, per i controlli sanitari a cui dovrà sottoporsi in conseguenza di abuso domestico o sessuale.