Chi aiuta chi ha bisogno di aiuto?

Cosa vuol dire proteggere le donne

Senza titolo, particolare. Per gentile concessione dell'autrice Enza Prunotto
Senza titolo, particolare. Per gentile concessione dell'autrice Enza Prunotto

La violenza sulle donne: due casi, uno risolto e uno no, trattati dagli operatori dei Consorzi socio-assistenziali Cisa – Asti Sud e Cogesa. Un modo per capire come si affrontano, dal di dentro, le vicende sui maltrattamenti familiari, approfondire in particolare il ruolo dell’assistente sociale e dell’educatore professionale e comprendere come le scelte personali della vittima di violenza siano determinanti nell’orientare una conclusione positiva o negativa alla richiesta di aiuto.

Cisa: Centro per le famiglie, Canelli Sala dell'allattamento per neomamme

Cisa: Centro per le famiglie, Canelli

Sala dell’allattamento per neomamme

Cogesa: Social Housing, San Damiano La mansarda

Cogesa: Social Housing, San Damiano

La mansarda

CASO RISOLTO

IL FATTO

 

Una donna di nazionalità rumena, residente nel Sud Astigiano (*), chiede aiuto ai Carabinieri: è vittima di maltrattamenti in famiglia. Ha con sé il figlio che non ha neanche un anno di età. Contro il marito, suo connazionale, presenta una querela per le violenze subite. Si decide a chiedere aiuto quando l’uomo mette le mani anche sul bambino.

 

COME SI INTERVIENE

Interno Centro per le famiglie
Interno Centro per le famiglie
Spazio neutro genitori-figli
Spazio neutro genitori-figli

Le forze dell’ordine contattano il Centro antiviolenza provinciale L’Orecchio di Venere per porre immediatamente in protezione mamma e figlio in attesa che di loro si occupi il Servizio Sociale territoriale del Cisa, ai cui operatori non sono note le vicende di maltrattamento in questa famiglia.
L’assistente sociale presenta una relazione alla Procura Minorile di Torino e provvede a collocare madre e figlio in una comunità protetta genitore-bambino, situata nell’Astigiano, e ad attivare, su provvedimento del Tribunale per i minorenni, un programma di sostegno all’autonomia della donna. Attraverso incontri protetti, in spazio neutro,  viene monitorato il rapporto tra il figlio e il papà mentre approfondimenti, disposti anch’essi dall’Autorità Giudiziaria, sulle capacità genitoriali di madre e padre sono svolti dal servizio di Neuropsichiatria Infantile dell’Asl AT e dal Serd (Servizio per le dipendenze patologiche, per esempio dall’alcol).
Durante la permanenza in comunità la donna mostra buone capacità di accudimento del figlio e matura la consapevolezza di volersi affrancare dalla relazione con il marito, dando prova di essere intenzionata a ricostruirsi una vita indipendente. Le capacità che dimostra le permettono di passare presto dalla comunità genitore-bambino a una situazione di maggiore autonomia in un gruppo appartamento. Con il supporto legale la signora avvia inoltre le pratiche per la separazione dal coniuge e affronta, senza ripensamenti, le fasi processuali del procedimento penale a carico del suo maltrattante.
Il processo di autonomia viene costantemente sostenuto dai servizi territoriali coinvolti (Servizio Sociale e Neuropsichiatria Infantile), incaricati dall’Autorità Giudiziaria Minorile, in collaborazione con gli operatori della comunità protetta. Grazie al supporto ricevuto la donna, in cerca di un’occupazione, decide di iscriversi a un’Agenzia Professionale e ai Servizi al Lavoro del Cisa.

COME TERMINA LA STORIA

 

La possibilità e la capacità di utilizzare risorse e opportunità messe a disposizione dai servizi sul territorio consentono alla signora di trovare un’attività lavorativa e, successivamente, insieme a una mamma ospite della comunità protetta, di prendere in affitto un’abitazione in un comune del Nord Astigiano. Anche la fase delle dimissioni dal gruppo appartamento e la sistemazione autonoma in casa viene seguita dai Servizi Sociali con interventi di monitoraggio.
Nel frattempo la donna fa domanda per fruire delle provvidenze economiche a beneficio del figlio: una volte ottenute, lo iscrive al nido, riuscendo a conciliare i tempi di lavoro con quelli di cura del piccolo.

 

QUALI OPERATORI DEL CISA HANNO SEGUITO LA DONNA

 

Il periodo di presa in carico del nucleo familiare e di gestione del caso è stato di 2 anni (da luglio 2017 a tutto giugno 2019). II Cisa ha sostenuto il pagamento della permanenza di donna e bambino nella comunità genitore-bambino e nel gruppo appartamento, le 96 ore di lavoro dell’assistente sociale e le 52 ore dell’educatore professionale per il monitoraggio nei luoghi neutri.

 

(*) Territorio in cui opera il Cisa

Senza titolo, Enza Prunotto

Senza titolo, Enza Prunotto

CASO NON RISOLTO

IL FATTO

 

Dopo l’ennesimo episodio di violenza subito dal compagno italiano, una donna guatemalteca, residente in un paese del Nord Astigiano (*), scappa a Torino a casa della zia, che l’accompagna a sporgere denuncia contro l’uomo anche per maltrattamenti contro sua figlia dodicenne (nata da una precedente relazione e riconosciuta solo da lei).
Con il compagno la signora ha una bambina di due anni e, al momento della denuncia, è al quinto mese di gravidanza.

 

COME SI INTERVIENE

Social Housing, zona giorno
Social Housing, zona giorno
Social Housing, zona notte
Social Housing, zona notte

La segnalazione del caso arriva al Cogesa, nell’agosto 2020, dai Servizi Sociali di Torino. Subito dopo la denuncia, la Polizia interviene applicando il Codice Rosso  mentre i Servizi Sociali provvedono, in via d’urgenza, a collocare in sicurezza le due vittime e la figlia più piccola. Emerge che, oltre a quelli fisici, la signora subisce maltrattamenti psicologici ed economici, costretta a vivere in condizione di isolamento sociale e senza aiuti.
Dalla sistemazione temporanea, in pronta ospitalità per un’immediata messa in protezione, la donna e le figlie passano a una collocazione strutturata: il Cogesa le accoglie nel proprio Social Housing (**) di San Damiano, a gestione diretta, e attiva il servizio di educativa territoriale e assistenza domiciliare per monitorare la situazione e valutare le capacità genitoriali della donna in vista della definizione di un progetto di aiuto di più ampio respiro: in previsione del parto, la signora è infatti trasferita in una comunità madre-bambino con le figlie.
La nuova nata vede la luce nel novembre 2020, riconosciuta solo dalla madre.
Nel frattempo vengono attivati incontri, in spazio neutro, tra il padre e la figlia di 2 anni per valutare la qualità della relazione esistente. L’uomo rispetta il calendario degli incontri.
A seguito della denuncia della vittima, dopo la segnalazione alle due Procure si incardinano, intanto, due procedimenti: uno al Tribunale per i minorenni e l’altro al Tribunale ordinario. Mentre tutto questo accade, emergono contatti telefonici costanti tra il maltrattante e la donna che, infine, decide di ritirare la denuncia e manifesta chiaramente l’intenzione di interrompere il percorso comunitario per riprendere la relazione con il partner. Quest’ultimo non ha ancora riconosciuto l’ultima figlia, anche se afferma di avere avviato le pratiche.
Nell’ottobre 2021, in vista del progetto di autonomia, la donna e le figlie vengono trasferite in un gruppo appartamento, ma durante le uscite autorizzate trova il modo di incontrare, da sola o con le figlie, il compagno. E’ lui, quando ormai la situazione risulta evidente, ad annunciare una nuova gravidanza della partner.

COME TERMINA LA STORIA

 

Dopo un’iniziale titubanza della donna, la coppia decide di portare avanti la gravidanza e progetta di ristabilire al più presto la convivenza senza minimamente porsi il problema della sussistenza economica: neppure l’uomo ha un’occupazione stabile.
La donna annuncia di voler tornare, assieme alle figlie, a casa con il compagno, nega i maltrattamenti subiti e/o li riconduce a normali incomprensioni e dissapori nella coppia.
Per contro la figlia maggiore, ormai quattordicenne, ben consapevole delle violenze subite dalla madre e dei maltrattamenti ricevuti non vuole tornare a vivere con l’uomo (spesso la cacciava di casa), certa della conflittualità del loro rapporto.
L’ex Ipab (***) che gestisce il gruppo appartamento, poiché la coppia ha infranto il regolamento interno, ma soprattutto non ha rispettato il provvedimento del Tribunale per i minorenni che prevede incontri in spazio neutro, dispone le dimissioni del nucleo senza fissare una data per dare al Cogesa il tempo per trovare una soluzione abitativa per la figlia maggiore: condizione che le consentirebbe quantomeno di terminare l’anno scolastico nel plesso che sta frequentando. Attualmente si sta pertanto cercando una famiglia affidataria nel paese in cui si trovano la comunità alloggio e la scuola.
A inserimento avvenuto della giovane, e solo dopo l’autorizzazione del Tribunale, si provvederà alle dimissioni della donna e delle due figlie minori con interventi di monitoraggio al domicilio.

QUALI OPERATORI DEL COGESA HANNO SEGUITO LA DONNA

 

Assistente sociale (45 ore di lavoro), educatore professionale (10 per l’educativa territoriale e 70 per la presenza negli spazi neutri), assistente domiciliare (12). Altri costi a carico del Cogesa, oltre a quello dei professionisti, hanno riguardato la gestione del Social Housing e il pagamento della permanenza della donna e delle figlie nella comunità madre-bambino e nel gruppo appartamento.

 

(*) Territorio in cui opera il Cogesa
(**) Il Social Housing costituisce una soluzione di tipo residenziale finalizzata all’inclusione sociale di persone disagiate in cerca di autonomia, soggetti in uscita da progetti di reinserimento sociale e persone vittime di violenza.
(***) Istituto pubblico di assistenza e beneficienza.