Una telefonata per chiedere aiuto
La stanza dal divano blu e dal tappeto arcobaleno anche durante il lockdown ha continuato a raccogliere i racconti drammatici delle donne vittime di violenza. Uno spazio particolare, quello all’ingresso della Divisione Anticrimine, al secondo piano della Questura di Asti: è stato chiamato Stanza delle donne e dei bambini per indicare un luogo tutto per loro, protetto, riservato. Qui si raccolgono le testimonianze, si scrivono le denunce oppure si assiste, impotenti, al rientro della donna in una casa in cui tornerà a essere umiliata e maltrattata dall’uomo con cui vive.
Daniela Campasso, Primo Dirigente della Polizia di Stato, alla guida della Divisione Anticrimine e da anni impegnata contro la violenza di genere, ne avrebbe di storie da raccontare: finite bene oppure no.
Fermiamoci alle storie di questi ultimi mesi. Forse perché siamo stati tutti fermi, hanno ancora più colpito le operazioni che avete messo a segno contro la violenza domestica. Le ripercorriamo brevemente insieme?
La lunga permanenza nelle abitazioni per l’emergenza sanitaria ha contribuito a esasperare le situazioni di disagio in ambienti familiari già minati nella serenità. La convivenza forzata ha costretto molte donne a subire le violenze continue di mariti o compagni che sempre più spesso si trasformano in aguzzini. Il lockdown non ci ha colti impreparati, il Questore aveva già disposto di potenziare il servizio di controllo del territorio attraverso gli operatori delle Volanti.
Uomini violenti sono stati arrestati su segnalazione delle vittime, riuscite a sfuggire al controllo opprimente del partner e a contattare la Polizia, mentre in altri casi è risultata provvidenziale la capacità degli agenti di individuare il pericolo e intervenire immediatamente. Tra gli arrestati, un uomo che usava atteggiamenti violenti sulla compagna mentre scontava gli arresti domiciliari e un altro che malmenava la partner sotto l’uso di sostanze alcoliche.
Un caso è stato risolto grazie all’intuito e sensibilità del personale della Squadra Mobile. In Questura era in corso un colloquio con una donna per acquisire informazioni su presunte violenze subite dalla compagna di suo cognato. A un certo punto lei stessa ha iniziato a raccontare gli abusi che le sono stati inflitti per anni. È emersa una situazione complessa, caratterizzata da restrizioni molto forti e violenze patite per la gelosia del compagno. Il giorno stesso in cui ha denunciato i fatti, la donna è stata separata dal partner e trasferita in una struttura protetta insieme ai due figli piccoli.
Ancora: sono in corso le indagini nei confronti di un uomo che, dopo essere stato lasciato dalla compagna, stanca di essere maltrattata, ha iniziato a perseguitarla con telefonate e a diffamarla sui social. Abbiamo anche evitato il peggio sequestrando un’arma da fuoco a un uomo che minacciava di utilizzarla contro la partner se non avesse assecondato le sue richieste.
Sempre parlando di violenza familiare, è di qualche giorno fa la notizia che la Polizia è riuscita a sventare la tragedia bloccando una donna che aveva tentato di uccidere il marito, accoltellandolo alla gola.
In almeno due casi avete arrestato uomini violenti intervenendo su richiesta dei vicini di casa. Quanto possono fare gli altri per aiutare le vittime di violenza? I testimoni saranno a loro volta protetti?
I vicini di casa hanno avuto un ruolo fondamentale in diversi arresti effettuati per interrompere episodi di violenza di genere: accade spesso che chi abita a fianco sia testimone degli abusi subiti dalle donne, ascolti le grida e le richieste di aiuto.
Purtroppo a volte accade che queste persone decidano di fare finta di nulla, di non informare le forze di polizia. È bene non dimenticare che questa reticenza, anche se non rilevante dal punto di vista penale, è moralmente inaccettabile perché permette al maltrattante di continuare ad abusare della propria vittima.
Quindi invito i vicini di casa, le amiche, i datori di lavoro, le parrucchiere, le estetiste e tutti coloro che sono al corrente di situazioni di violenza domestica a denunciare immediatamente i fatti: la tempestività può risultare provvidenziale per la vita della vittima.
Verrà concordato l’appuntamento per la testimonianza, la segnalazione rimarrà riservata, il nome di chi la fa non sarà reso noto: la legge, ai fini dell’applicazione della misura di prevenzione personale dell’ammonimento per violenza domestica (che è facoltà del Questore, il quale ha potestà su tutta la provincia), pur richiedendo una segnalazione in forma non anonima assicura che non venga svelato il nome di chi la sottoscrive.
Per il perseguimento del reato di maltrattamenti in famiglia è possibile procedere d’ufficio: pertanto la segnalazione rappresenterà solo uno spunto dal quale muovere per costruire un impianto probatorio che possa reggere in giudizio, cioè al processo.
Le donne costrette in casa con i loro aguzzini hanno sofferto e soffriranno ancora di più per le conseguenze dell’epidemia sanitaria. Quale messaggio vuole fare arrivare loro?
L’invito che rivolgo alle donne è di denunciare qualsiasi forma di violenza subita in ambiente domestico, sia fisica che psicologica, anche se apparentemente si tratta di episodi marginali, che però spesso si evolvono in situazioni sempre più gravi.
Anche se sono consapevole che rivolgersi alle forze dell’ordine può risultare complicato, perché può accadere che la donna, nonostante le violenze subite, tenda a tutelare il partner o che sia sottoposta a un controllo ferreo che non le consente neppure di fare una telefonata, esorto tutte le vittime di violenza a denunciare gli abusi.
Le forze dell’ordine sono il primo anello del percorso di uscita dalla violenza.
Basta che la donna chiami il centralino della Questura e segnali di voler parlare del suo problema: sarà poi l’operatore a passarle l’ufficio giusto, in qualsiasi momento, a qualsiasi ora.
Poiché la vittima è sempre psicologicamente provata, occorrono sensibilità e capacità di ascolto.
Il momento della denuncia arriva di solito nel momento peggiore, dopo l’ennesimo e non più sopportabile episodio di violenza: ma la donna spesso si sente colpevole, si vergogna a parlare di ciò che accade e il racconto è sempre difficile.
L’operatore non la giudica né la colpevolizza, sia che lei decida di rompere la relazione con l’uomo che la maltratta sia che decida di rimanere con lui per provare a cambiare la situazione.
Alla vittima, nei nostri uffici o al suo domicilio se dovesse intervenire il poliziotto, forniremo corrette informazioni sui suoi diritti e sulle possibilità di aiuto, a partire dai centri antiviolenza: verrà scelta la strada migliore da percorrere, quella più adeguata alle sue esigenze – esattamente come lo sarebbe l’abito che indossa -, si concorderanno tempi, cose da fare, con chi parlare.
Il numero di telefono a cui rivolgersi è sempre il numero unico 112, oppure il 1522 (numero nazionale antiviolenza e stalking). I nostri uffici sono in corso XXV Aprile 19. In alternativa si può usare l’app Youpol, gratuitamente scaricabile e facilmente utilizzabile, realizzata dalla Polizia e che nel lockdown è stata allargata anche contro i maltrattamenti in famiglia. Noi ci siamo, sempre.
Nove mesi fa è entrato in vigore il Codice Rosso a tutela delle vittime di violenza domestica e di genere. Ad Asti i risultati sono stati all’altezza delle aspettative?
I poliziotti della Questura sono costantemente impegnati nel contrasto di ogni forma di violenza di genere e i risultati raggiunti sono ottimi. I nostri operatori hanno sviluppato grande sensibilità e acquisito elevatissime competenze professionali, per cui l’innovazione normativa ci ha trovato all’altezza della richiesta.
Il Codice Rosso ha previsto ridottissimi tempi di esecuzione delle prime indagini: proprio ad Asti il Tribunale ha emesso recentemente una severa sentenza di condanna nei confronti di un giovane maltrattante.
La Divisione Anticrimine, che ha al suo interno personale formato da specifici corsi, è molto attenta alle problematiche relative allo stalking e alla violenza di genere. Sono stati proposti numerosi ammonimenti, vale a dire provvedimenti a firma del Questore con la finalità di avvertire il maltrattante che ulteriori abusi contro la vittima verranno immediatamente repressi. Inoltre è anche molto intensa l’attività di acquisizione di spunti investigativi utili per l’imputazione di delitti consumati tra le mura domestica come, appunto, i maltrattamenti in famiglia.
Contro la violenza di genere si parla più del passato. Ci faccia un esempio concreto, e se possibile anche innovativo, di come si dovrebbero concretamente sensibilizzare i giovani affinché possa effettivamente prendere forma un cambiamento dei comportamenti e delle sensibilità individuali.
Il Dipartimento della Pubblica Sicurezza già da alcuni anni ha attivato un’innovativa campagna di sensibilizzazione, ormai permanente, denominata “…. questo non è amore”. Anche nella provincia di Asti l’abbiamo condotta in diverse occasioni e penso, da ultimo, a San Valentino, quando abbiamo intercettato molti utenti alla stazione ferroviaria del capoluogo.
Penso a seminari periodici nelle scuole, utili per coinvolgere i giovani in incontri formativi che favoriscano una maggiore consapevolezza sulla violenza di genere e sul rispetto della donna, ma a ruoli inversi: gli esperti di settore (forze dell’ordine, magistrati, centri antiviolenza, Asl, ecc.) impegnati ad ascoltare e gli studenti intenti a raccontare, attraverso forme teatrali, la poesia, gli sketch o le videointerviste, che cosa hanno capito di questo problema e che cosa vogliono sapere su questo fenomeno grave e drammaticamente attuale.
Se succederà noi parteciperemo: prenoto fin d’ora un posto in prima fila.
Nelle foto: La dirigente dell’Anticrimine Daniela Campasso in un incontro, nel suo ufficio prima del virus, con una classe dell’Istituto “Monti”; La Stanza delle donne e dei bambini; un controllo della Polizia al tempo del Covid-19; Il Questore Alessandra Faranda Cordella nello spazio protetto per le vittime di violenza in Questura; la copertina del libretto “… questo non è amore”.