Le nostre riflessioni

Federica

Il progetto SOS donna è stato una parte fondamentale del nostro percorso di studi.  Tutti i giorni sentiamo parlare, anche troppo, di violenza. Riceviamo troppe informazioni e non ci concentriamo più sul significato delle parole. L’8 marzo siamo tutti femministi, il 25 novembre tutti dalla parte delle donne vittime di violenza. Prima di questo progetto se mi avessero chiesto di parlare della violenza di genere avrei detto le solite frasi “la violenza è sbagliata”, ”la donna deve denunciare il maltrattante altrimenti non è coraggiosa…”. Frasi vuote perché chi le pronuncia non può nemmeno immaginare ciò che la donna ha subito. Gli incontri fatti sono stati molto utili perché abbiamo conosciuto storie, operatori, persone che prestano concretamente aiuto.

Giovanni

Io sono stato notevolmente colpito da questa esperienza, vissuta assieme alle mie compagne di classe, perché mi ha aiutato a comprendere il triste fenomeno della violenza sulle donne che coinvolge ogni persona, uomo o donna che sia. Non si può restare indifferenti di fronte a violenze che distruggono psicologicamente e fisicamente una persona. Io credo che questo progetto mi abbia reso più consapevole della mie azioni come, per esempio, bloccare qualche stupida battuta sessista o comportamenti irrispettosi. Durante gli incontri, in quanto maschio, mi sono sentito in imbarazzo nell’ascoltare racconti di violenza che però non portano solo in cattiva luce il perpetratore della violenza, ma anche tutto il genere maschile. Spero cambi questa abitudine di generalizzare all’universo maschile la violenza e ci si limiti al singolo soggetto.

All'Orecchio di Venere
All'Orecchio di Venere

Aurora

Sono felice di aver partecipato a questo progetto poiché sono più consapevole della realtà che mi circonda e delle mie azioni. Questa esperienza mi ha segnato dal punto di vista personale e ha ingrandito la mia visione del mondo. Conoscere più a fondo il tema della violenza, sapere a chi ci si può rivolgere per essere aiutati, discutere in classe e rapportarci con le varie operatrici delle strutture visitate ha suscitato in me molte idee e pensieri che mirano tutti a una maggiore uguaglianza tra di noi.

Delia

Il progetto ha rappresentato un’esperienza di formazione per la mia identità di donna e, secondo me, l’iniziativa dovrebbe ampliarsi in tutta Italia per prevenire forme di maltrattamenti, per dar l’occasione a molte vittime di far sentire la loro voce perché esistono strutture che garantiscono protezione, sensibilizzazione e discrezione.

Desiré

Fare parte di questo progetto mi rende molto fiera, in particolare per  tutto il lavoro che c’è dietro a questa iniziativa. Di fronte ad una problematica così complessa e delicata, noi abbiamo deciso di non nasconderci, da dare il nostro contributo, agendo con i mezzi a disposizione e facendo sentire la nostra voce. Sono orgogliosa di come i miei compagni e io abbiamo affrontato questa esperienza. Ho imparato che insieme si possono raggiungere buoni risultati e che uscire dalla violenza è difficile, ma possibile.

Ginevra

Nel progetto sono stati affrontati temi di cui tutti noi eravamo a conoscenza. A conoscenza superficialmente. Poi siamo entrati nel profondo dell’argomento. Inizialmente, devo dire, ero un po’ titubante perché non avevo  molta ispirazione…in realtà ora se dovessi pensare di ripetere l’esperienza, accetterei volentieri perché è stato molto interessante. Tutti sanno cos’è la violenza subita dalle donne, ma il percorso che le aspetta per trovare una via d’uscita c’è, sì è difficile, ma può essere intrapreso.

Al Consultorio con la mediatrice culturale
Al Consultorio con la mediatrice culturale

Iris

Secondo me questa esperienza è servita molto perché è utile far capire a noi giovani cos’è la violenza, come si manifesta e in che modo la si può contenere. E’ stato molto interessante farci esporre da più figure professionali i loro diversi punti di vista. Personalmente sono felice di aver partecipato a questo progetto perché la tematica è purtroppo molto attuale.

Francesca Be.

L’incontro all’Orecchio di Venere ha catturato la mia attenzione per tutto il tempo: non è stato un monologo, ma un dialogo, un confronto che ci ha permesso di esporre le nostre opinioni e, in qualche caso, di dare spazio anche alle nostre emozioni. In particolare mi hanno colpito le parole della responsabile sulla presenza della scatola dei fazzoletti, all’interno della stanza dei colloqui perché è un luogo dove si può anche piangere, dove puoi far uscire tutta la sofferenza trattenuta dentro fino a quel momento. Mi ha colpita anche lo specchio nel kit della dignità. La responsabile lo ha spiegato come “modo per vedere come si è ridotte”. Preferisco dare un’altra interpretazione: quella di guardarsi allo specchio per ricordarsi chi si è, per rendersi conto che io sono io e nessuno ha il diritto di annullarmi.

Giulia G.

Personalmente mi ha colpita il fatto che il Consultorio che offre numerose opportunità, anche a noi giovani, sia gratuito e quindi possa essere usufruito da chi è disoccupato o non può permettersi visite a pagamento. Le operatrici ci hanno accolti con gentilezza e calorosità e la mia esperienza di alternanza scuola e lavoro è stata molto formativa.

Valentina

Dall’incontro al Consultorio con la mediatrice culturale Sabina abbiamo compreso come la sua professione sia complessa e delicata anche perché tenta di favorire il dialogo e la collaborazione in contesti dove coesistono culture e problematiche differenti. La violenza assistita e subita dai bambini mi ha molto impressionata per le conseguenze serie su di loro, anche a distanza di molto tempo.

Eleonora

Il video a cui abbiamo assistito all’Orecchio di Venere ha proposto un ribaltamento dei ruoli: un uomo casalingo e una donna in carriera maltrattante. L’effetto su di noi è stato più forte, più evidente e abbiamo riflettuto anche sugli stereotipi di genere che ci condizionano tutti quanti. Questa esperienza mi ha insegnato a riconoscere le prime forme di violenza, ma quello che ho appreso è che ognuno di noi deve lottare per difendere la propria indipendenza.

Alisea

Una scatola di fazzoletti a disposizione. All’Orecchio di Venere si può anche piangere, non più nascoste, non più sole, ma in un posto dove le emozioni possono essere espresse e condivise con chi ascolta e comprende.
Una ferita a livello fisico, col tempo, si può rimarginare, mentre una lesione interiore rimane per il resto della vita. E’ vero sono solo un’adolescente, non ancora donna, e questo sembra una problematica più grande di me, ma sono convinta che spetti proprio a noi giovani, uniti, rendere il futuro migliore.

Francesca Bo.

Questa esperienza ha suscitato in me forti emozioni. Ho cercato di immedesimarmi in una donna maltrattata che si presenta in Pronto Soccorso…dal triage alla stanza delle fragilità. Mi sono sentita confusa, preoccupata anche per il giudizio degli altri e non abbastanza forte per affrontare una situazione così traumatizzante. Ho compreso che nella quotidianità occorre essere molto empatici e attenti ai segnali di chi ha bisogno di aiuto anche se non lo dice esplicitamente.

Letizia

Aderire a questo progetto ha dato la possibilità a noi giovani di trattare una tematica attuale con maggiore serietà e sensibilizzazione. Mi ha stupito l’alto numero di vittime di violenza nella nostra città: pensavo fossero meno, come di meno credevo fossero gli uomini violenti. Osservare, nella stanza delle fragilità del Pronto Soccorso, il kit di prima necessità (asciugamano, ciabatte, indumenti intimi per la donna, pannolini, tutine, peluche per i piccoli) mi ha impressionata e fatto riflettere. Sono comunque felice perché la maggior parte delle istituzioni collaborano tra loro.

Giulia A.

Ci è stato raccontato che le madri tornano a casa, il più delle volte, dal perpetratore di violenza per non sconvolgere e cambiare drasticamente l’esistenza dei propri figli, per evitare che debbano abbandonare la casa, la scuola, gli amici, lo sport. Quando però  la violenza rischia di coinvolgere anche i piccoli esponendoli al pericolo, allora, sì, la donna trova la forza e il coraggio per chiedere aiuto e denunciare i maltrattamenti.
La sicurezza del piccolo è la cosa più importante per la madre e trovo questo ammirevole.

Denise

Uno degli incontri formativi che ho trovato maggiormente interessante è stato quello con la mediatrice culturale Sabina e la visita al Consultorio, struttura che offre servizi gratuiti e di cui non avevo conoscenza.
I vari professionisti incontrati ci hanno esposto le manifestazioni della violenza sia a livello fisico che psicologico, le cause che possono indurre un uomo ai maltrattamenti e abusi, le conseguenze della violenza assistita o passiva sui figli, il percorso che la donna affronta nel tentativo di superare i traumi e i dolori subiti. Tutte nuove conoscenze.
E’ stata inoltre un’esperienza che, coinvolgendoci come classe, ci ha fornito l’occasione di condividere non solo nuove conoscenze, ma anche qualche veloce pranzo e di gustare un gelato in compagnia.

Stanza di accoglienza all'Orecchio di Venere
Stanza di accoglienza all'Orecchio di Venere

Martina

La visita al Pronto Soccorso mi è rimasta particolarmente impressa perché non sapevo, ad esempio, dell’esistenza della stanza delle fragilità e del kit della dignità. La collaborazione poi dei diversi operatori e del vigilante, sempre presente, per proteggere il più possibile la donna e i suoi piccoli mi ha sorpresa e mi ha rassicurata.

Francesca Be.

A dir la verità l’idea di collaborare a questo progetto non mi convinceva…
Pensavo: “le solite cose riguardo alla violenza sulle donne.” Non sapevo veramente cosa avremmo vissuto e costruito.
Posso quindi dire che le mie aspettative iniziali sono cambiate in positivo.
Spero che le cose cambino piana piano, e dico piano piano perché questioni come queste sono complesse da affrontare. Spero che grazie a noi, grazie a tutti quelli che hanno collaborato per SOS donna qualcosa possa smuoversi, qualcuno possa contrastare questi comportamenti di estrema bassezza e piccolezza.

Dopo la visita in Pronto Soccorso
Dopo la visita in Pronto Soccorso

Valentina

La visita alla caserma di Asti dei carabinieri è stata molto interessante.
Ciò che mi ha colpita, in particolare, è l’accoglienza riservata alla vittima di violenza, accompagnata nella Stanza tutta per sé. Qui il carabiniere ascolta il racconto della donna sedendo sul divano accanto a lei, senza insistere o obbligarla a sporgere subito denuncia. In modo da metterla anzitutto a suo agio e farla sentire al sicuro.

Giulia G.

La Stanza tutta per sé dà serenità, le pareti sono tinte di azzurro, richiamano il cielo durante una giornata di primavera.

Nella Stanza tutta per sé della caserma dei carabinieri
Nella Stanza tutta per sé della caserma dei carabinieri

Delia

Ho compreso che il lavoro del carabiniere non si limita a trascrivere le informazioni, ma anche a capire e aiutare la persona in difficoltà.

Denise

Nella Stanza tutta per sé ci è stato mostrato il kit della dignità, a disposizione della vittima di violenza grazie all’Orecchio di Venere. Ancora una volta l’opera di volontariato, svolta in complementarietà con le forze dell’ordine, si dimostra efficace.

Francesca Be.

A colpirmi particolarmente è stato il cortometraggio “Piccole cose di valore non quantificabile”, in cui la donna intende denunciare il furto dei suoi sogni. Quasi mi vengono i brividi a udire la frase “Mi hanno rubato i sogni”, però è la verità: è ciò che accade realmente alla vittima di violenza. Non solo vieni annullata, ma perdi tutta la speranza, perdi il coraggio di seguire ciò in cui credi, perdi la fantasia, anzi la trasformi, speri solo che quello che sta accadendo sia immaginazione, non la realtà. Mi è piaciuto molto il comandante dei carabinieri: fin dalla presentazione del progetto SOS donna ha mostrato particolare interesse al problema dei maltrattamenti in famiglia e dell’abuso. E poi mostrarci la centrale operativa, da cui si controlla la città attraverso le telecamere e si risponde alle telefonate del 112, ha voluto dire riporre fiducia in noi.

Desiré

I carabinieri sono stati molto disponibili nei nostri confronti, anche scherzosi, e hanno parlato con fierezza del loro lavoro e dei risultati raggiunti. Gli ambienti della caserma, molto luminosi, trasmettono un senso di tranquillità. Non mi aspettavo di trovarli così accoglienti. Credo che metterebbero a proprio agio chiunque si trovi in una situazione di difficoltà.

Federica

Sono dell’idea che fare il carabiniere non significa solo indossare una divisa e avere la possibilità di utilizzare un’arma. Ma vuol dire prima di tutto sapere come relazionarsi con le persone. Questa mia impressione è stata confermata durante il nostro incontro in caserma.

Iris

Abbiamo anche visto un video sulla complessa attività dei carabinieri. Nel nostro giro mi ha interessata, in particolare, la centrale operativa allestita e attrezzata in modo da rispondere prontamente alle emergenze e controllare la città attraverso il sistema delle telecamere. Sono contenta che, come classe, torneremo il prossimo anno in caserma per parlare di devianza e criminalità.

Ginevra

Non ero mai stata in questura, come neanche in una caserma dei carabinieri.
E’ stata un’esperienza nuova. Quando abbiamo visitato il laboratorio della Polizia scientifica mi sarebbe piaciuto avere un po’ di tempo per approfondire quel particolare ambito lavorativo.

Aurora

I responsabili dei servizi che si occupano della violenza alle donne ci hanno spiegato in modo chiaro come agiscono: ho trovato il loro racconto molto interessante.
E’ stato anche decisamente positivo apprendere come affrontano il problema del bullismo e sapere della loro disponibilità ad ascoltare i ragazzi in difficoltà e ad aiutarli.

Eleonora

Ciò che mi ha colpito particolarmente è stato l’ufficio della dottoressa Campasso (Anticrimine), colmo di fotografie riguardanti le indagini da lei svolte contro la violenza alle donne anche in altre città. Il suo amaro racconto su un caso non risolto di femminicidio a Genova mi ha fatta molto pensare.

Nel Gabinetto della Polizia Scientifica
Nel Gabinetto della Polizia Scientifica
Con la dottoressa Daniela Campasso (Anticrimine)
Con la dottoressa Daniela Campasso (Anticrimine)

Giulia G.

La dottoressa Campasso ha detto una frase che mi ha colpita: “Non serve avere tanti indizi se non si ha una prova”. Il suo piccolo ufficio era pieno di oggetti e fotografie: ci ha spiegato che per lei erano molto importanti. Del resto la foto è un frammento di tempo che ambisce all’eternità.

Giovanni

Alcune delle nozioni di cui abbiamo parlato in Questura le avevo già acquisite in classe o con letture personali. Mi ha colpito però il numero di crimini commessi in una città come Asti.

Nel corridoio dell'Anticrimine
Nel corridoio dell'Anticrimine

Delia

Più di ogni altra visita, la Questura ha rappresentato per me l’opportunità di sentir parlare di storie realmente accadute: a partire dai tragici femminicidi, alcune volte irrisolti, fino alle denunce per stalking e abusi.

Federica

La cosa che mi ha interessato di più è stata l’illustrazione della campagna informativa “… Questo non è amore”: vi ho ritrovato molto temi che abbiamo affrontato a scuola e con il progetto SOS donna.

Francesca Bo.

L’esperienza in Questura è stata davvero molto interessante. Mi ha particolarmente appassionato visitare il “Gabinetto” della Polizia scientifica nel quale si ricostruisce la scena del crimine. Ho seguito con attenzione anche la spiegazione sul percorso e sugli spazi riservati alle donne che subiscono violenza per farle finalmente sentire al sicuro.

Il nostro commento dopo la visita al Museo delle Culture del Mondo a Genova

Il museo, oltre a mostrarci oggetti provenienti da altri Paesi, ci ha permesso di capire come le abitudini, i comportamenti, gli oggetti siano diversi tra loro: così come noi usiamo, ad esempio, il pettine in plastica, altre popolazioni lo fabbricano con materiali naturali. E similmente cambiano anche i punti di vista e la considerazione della donna.
Essendo un museo delle culture del mondo, nessun oggetto e nessun pensiero è secondario: tutto è importante. Non esiste etnocentrismo.
Inoltre la direttrice del museo, la dottoressa De Palma, ci ha spiegato che, come antropologa, è riuscita ad organizzare il museo rivoluzionando il concetto stesso di quest’ultimo per consentire a noi di conoscere differenti culture e, nello stesso tempo, dar voce a popoli lontani.
L’obiettivo del museo è quello di farci approcciare alle popolazioni indigene con curiosità, rispetto e di favorire l’inclusione sociale…tratti comuni al Progetto SOS donna se consideriamo l’identità di genere.

Al Castello D'Albertis-Museo delle Culture del Mondo
Al Castello D'Albertis-Museo delle Culture del Mondo