Il nostro aiuto alle donne 24 ore su 24
Al Pronto Soccorso dell’ospedale Cardinal Massaia l’epidemia sanitaria non ha cambiato il modo di aiutare le donne vittime di violenza. Facciamo con il primario Gianluca Ghiselli lo stesso percorso che farebbe una di loro: Triage, codice rosa, Stanza delle fragilità, al riparo dalla paura e da sguardi indiscreti. Tutto uguale a sempre. Eppure.
Eppure ci sono donne che, bisognose di cure, in questi mesi non sono mai arrivate in Pronto Soccorso. Paura di contrarre il virus, come tanti altri pazienti che con il Covid-19 non avevano nulla a che fare. Meglio stare a casa. Esattamente quello che è accaduto un po’ in tutt’Italia: i Pronto Soccorso, spesso alle prese con gli accessi impropri, si sono d’un tratto svuotati. Proviamo a raccontare tutto questo con i numeri?
In un giorno qualsiasi, prima che il virus si manifestasse, nella nostra struttura affluivano circa 170 persone: nel periodo critico della pandemia (dai primi di marzo a metà aprile) abbiamo registrato un calo del 30 per cento. E nei momenti di vera paura siamo andati anche oltre.
Trenta le donne vittime di violenza che, da gennaio a oggi, si sono rivolte a voi. Nei dodici mesi del 2019 avete registrato 162 casi: ragionando per semestre significa 81 accessi da gennaio a giugno. In questo primo semestre del 2020 le donne che avete soccorso sono state meno della metà rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
Anche le vittime di maltrattamento familiare hanno manifestato due tipi di paura: venire in ospedale, per timore di contrarre il virus, e uscire di casa durante il lockdown. In Pronto Soccorso non abbiamo modificato il percorso di assistenza e messa in sicurezza nei loro confronti, sono state mantenute le stesse modalità di accesso, accoglienza e cura. Gli spazi dedicati sono sempre stati al di fuori dell’area Covid.
Attuiamo le indicazioni del Ministero e della Regione: come, in questi mesi, i casi sospetti di virus sono stati trattati secondo un percorso alternativo che non prevedeva il passaggio in Pronto Soccorso, così nel prossimo futuro, nella nostra struttura, funzioneranno spazi completamente separati per i pazienti Covid e per tutti gli altri: i lavori sono già iniziati, contiamo di completarli entro fine luglio. Per le donne ci sono tutte le condizioni per non rinunciare a chiedere aiuto.
A volte la donna che subisce maltrattamenti familiari non sa bene che cosa l’attende in Pronto Soccorso: non tanto sotto il profilo dell’assistenza, ma della sicurezza perché magari, fuori dall’ospedale, c’è un uomo violento che la sta cercando per riportarla a casa.
Può spiegare che cosa fate per assisterla e proteggerla? Da voi sarebbe davvero al sicuro?
Partiamo dal Triage dove l’infermiere registra, in modo riservato, tutti i nostri pazienti. La donna si vede attribuire due codici: uno il cui colore varia in base alla gravità dei sintomi e delle lesioni e l’altro di colore rosa, visibile soli a noi operatori sanitari, in modo che il medico che la visiterà possa riconoscerla come vittima di violenza, adottando tutti gli accorgimenti del caso.
A partire dall’accettazione al Triage, inoltre, il suo nome viene oscurato: da quel momento diventerà invisibile e la sua presenza non sarà rivelata a nessuno, tanto meno al suo maltrattante. E’ utile sapere che in Pronto funziona un servizio di vigilanza che copre le 24 ore.
Terminata la registrazione, accompagniamo la paziente nella Stanza delle fragilità, uno spazio tutto per lei, che resterà quindi separata dal resto degli utenti, e per i figli piccoli se li avrà con sé. Qui avverranno il colloquio e la visita con il medico, l’incontro con l’assistente sociale (e la mediatrice culturale se è straniera) utile anche a far maturare nella donna una scelta in previsione delle dimissioni dal reparto: farsi accogliere provvisoriamente nella Stanza segreta della nostra Asl, trovare una sistemazione da parenti o persone amiche, ricevere ospitalità in un luogo protetto sul territorio. Valutare se denunciare, anche subito, chi la maltratta. Oppure tornare a casa.
Nella Stanza delle fragilità non sembra di essere in ospedale. E’ uno spazio molto accogliente con arredi colorati e tanti peluche per i bambini. Però a volte tutto questo, insieme alla competenza e alla cortesia del personale sanitario, non basta. Ci sono ancora donne che non dichiarano il vero motivo per cui ricorrono alle vostre cure.
Soprattutto durante la visita può succedere che ciò che la paziente racconta non coincide con quello che vediamo: come i lividi diffusi sul corpo, di diverse gradazioni, che svelano una situazione di ripetuto maltrattamento. Altri elementi utili per aiutarci a comprendere possono venire consultando la documentazione sui precedenti accessi in Pronto. Allora con molta delicatezza affrontiamo l’argomento, facendo capire che non siamo qui per giudicare ma per aiutarla.
Altre volte sul corpo non ci sono prove, ma dietro agli attacchi di panico che imprigionano la donna arriviamo a comprendere che potrebbe esserci l’ennesima litigata con il partner e a ricostruire, insieme a lei, situazioni familiari distorte che vanno avanti da anni, incrociando la violenza fisica con quella psicologica. All’esperienza uniamo la competenza perché il personale del Pronto Soccorso è formato per accogliere le vittime di violenza.
E il medico referente per la violenza di genere è una donna, la dottoressa Federica Franchi.
Da dove cominciare per una presa di coscienza contro la violenza che sia davvero efficace e produca risultati nel tempo?
Dobbiamo investire sui giovani per creare più consapevolezza. La rete deve nascere dalla famiglia e dalla scuola, se mancano questi passaggi tutto sarà più complicato.
Nelle foto: La Stanza delle fragilità con il dettaglio di una poesia e con il primario Gianluca Ghiselli tra le sedie colorate; la dottoressa Franchi (in camice azzurro) e un’infermiera durante una pausa di lavoro; un peluche per i bambini.