Medicina di genere: la salute per le donne

Perché le donne
soffrono più
di Alzheimer
che di Parkinson
Quale eredità?!, per gentile concessione dell’autrice Enza Prunotto
Quale eredità?!, per gentile concessione dell’autrice Enza Prunotto
La dottoressa Lidia Sarro
La dottoressa Lidia Sarro
La dottoressa Elisabetta Ciravegna
La dottoressa Elisabetta Ciravegna

La malattia di Alzheimer è una patologia degenerativa che si presenta con un progressivo declino delle funzioni cognitive (in particolare della memoria a breve termine) e una progressiva perdita dell’autonomia del paziente nelle attività della vita quotidiana. E’ la più frequente forma di demenza nella popolazione ultra65enne. Si stima che, nel mondo, a partire dal 2050, circa 50 milioni di persone ne saranno affette.
La prevalenza di questa patologia aumenta con l’età e risulta maggiore nelle donne, con percentuali che vanno dallo 0,7% per la classe d’età 65-69 anni al 23,6% per le ultra90enni, mentre per gli uomini variano rispettivamente dallo 0,6% al 17,6%. Un dato che invece si stravolge se si considera il morbo di Parkinson, altra patologia degenerativa che compromette per lo più la fluidità del movimento: si ammalano di più gli uomini, con un rapporto quasi doppio.
Lidia Sarro è dirigente medico neurologo all’ospedale Martini di Torino. Si dedica alla cura dei pazienti affetti da patologie neurodegenerative del Centro Diagnosi e Cura delle Demenze e dell’ambulatorio Disordini del Movimento. Ha lavorato presso l’istituto Neurologico Carlo Besta di Milano ed ha svolto attività di ricerca negli Stati Uniti. Autrice di numerose pubblicazioni scientifiche, è membro del consiglio direttivo della sezione torinese dell’Associazione Italiana Donne Medico e di società scientifiche nazionali ed internazionali.

Dottoressa, perché di Alzheimer si ammalano di più le donne?
L’età gioca un ruolo importante. Uno dei motivi per cui le donne risultano più colpite dalla malattia è proprio la loro maggiore longevità. Inoltre le conoscenze attuali permettono di datare l’inizio del processo di degenerazione cerebrale molti decenni prima rispetto all’esordio dei primi sintomi ed è fin dalla giovane età che le donne sono più esposte ad alcuni fattori di rischio. Uno di essi è la depressione.
Vi sono poi varianti genetiche maggiormente frequenti nella donna come l’allele apoE-e4, che conferisce un rischio aumentato d’insorgenza tardiva di malattia di Alzheimer a chi ne è portatore favorendo il deposito di proteina beta amiloide nell’encefalo e il cui utilizzo è tutt’ora limitato all’ambito di ricerca scientifica. Ulteriori cause sono di tipo culturale: all’inizio del XX secolo il minor coinvolgimento nella vita sociale, lavorativa, sportiva ed il minor accesso ai più alti gradi di scolarizzazione ha esposto le anziane di oggi ad un maggiore rischio di malattia.

Ci sono differenze di genere nel decorso di malattia?
Numerosi studi concordano nell’identificare un decorso più aggressivo di malattia di Alzheimer negli uomini rispetto alle donne. La sopravvivenza dopo la diagnosi è più breve nei maschi, che sono anche soggetti ad un più rapido deterioramento delle funzioni cognitive. Questo può essere in parte spiegato dalla maggiore frequenza di complicanze cardiovascolari e tumorali che rendono il decorso della malattia negli uomini più rapido.
Sembrerebbe inoltre che a parità di danno neuropatologico (deposito di proteina tau e b-amiloide nell’encefalo) i sintomi siano più gravi rispetto alle donne, avvalorando l’ipotesi di una maggiore riserva e resilienza del cervello femminile le cui cause sono ancora oggetto di studio.

Qual è l’influenza degli ormoni sessuali?
L’invecchiamento implica importanti modificazioni degli ormoni sessuali sia nella donna (menopausa) che nell’uomo (andropausa). Sebbene il ruolo protettivo degli ormoni sessuali femminili (estrogeni e progesterone) nei confronti delle patologie cerebrovascolari sia assodato, molto poco si conosce circa il ruolo di questi ormoni nelle malattie neurodegenerative.
Differenze ormonali potrebbero influenzare l’epidemiologia e/o l’andamento della malattia e pertanto spiegare le differenze di genere nell’Alzheimer, ed è un ambito di ricerca molto promettente. Ad oggi solo pochi studi hanno provato a rispondere a questa domanda somministrando terapia ormonale sostitutiva sia nelle donne (terapia a base di estroprogestinici) sia negli uomini (terapia a base di androgeni) sino all’età avanzata, ed i risultati non hanno mostrato fino ad ora alcun effetto protettivo sullo sviluppo della malattia di Alzheimer.

Quali sono i suggerimenti per prevenire la malattia di Alzheimer?
Il principale fattore protettivo, come dimostrano gli studi epidemiologici, è condurre una vita attiva sia dal punto di vista sociale e sportivo che culturale. Insomma dilettarsi nella lettura di un libro, nelle parole crociate/sudoku e simili, imparare nuove attività e praticare sport (commisurato all’età), meglio se in compagnia, è la base per prevenire la malattia.
Inoltre la dieta mediterranea, ricca di verdure fresche, legumi, pesce azzurro e povera di grassi saturi sembrerebbe donare al nostro cervello una maggiore “resistenza” all’invecchiamento.

Se si è incinte o si ha un nodulo sospetto

Elisabetta Ciravegna, neurologa, è in pensione dal 2012. E’ stata medico di medicina generale dal 1978 al 1987, assistente di 1° e poi di 2° livello all’ospedale Maria Vittoria di Torino dal 1981 al 1999, in seguito specialista neurologa ambulatoriale nelle Asl 1, 4, 5 del Piemonte con partecipazione all’Unità di Valutazione Alzheimer (ora Centro Disturbi Cognitivi e Demenze) di Moncalieri. Si è occupata di malattie cerebrovascolari effettuando ecodoppler e assistenza di reparto prima della creazione della stroke unit (unità ictus), poi prevalentemente di malattie neurodegenerative.

Dottoressa, gli uomini invece si ammalano di più di Parkinson…
Il rapporto è di 3 donne ogni 5 uomini. Si tratta di una malattia neurodegenerativa che non colpisce solo il movimento. Interessa tutti i sistemi, non solo quello nervoso. Influisce ad esempio sulla funzionalità gastrointestinale, provoca problemi cutanei come l’alterazione dell’untuosità della pelle e di sudorazione, disturbi del sonno, sensoriali, cognitivi, psichici.

Sintomi che variano in base al sesso?
Nelle donne prevale il tremore, negli uomini la rigidità muscolare e il rallentamento motorio. Nelle donne tra l’altro è raro che si arrivi ad una diagnosi di malattia prima dei 55 anni, mentre nei maschi spesso viene fatta prima.
Ci sono anche sintomi non motori altrettanto importanti: l’uomo ha un sonno agitato, scialorrea (perde le bave) mentre la donna è più soggetta a depressione, ansia, perdita di interessi, sindrome delle gambe senza riposo.

Ma la mano o la gamba che tremano sono un’avvisaglia di Parkinson?
Non sempre. Non bisogna confondere il morbo di Parkinson con il tremore essenziale, disturbo del movimento scatenato da stati di stress, stati d’ansia e preoccupazione che può comunque compromettere le attività quotidiane. Per diagnosticare il Parkinson, utili supporti alla diagnosi clinica sono esami specifici come la spect cerebrale, con uno specifico radionuclide (mezzo di contrasto) che si chiama Datscan.
C’è uno studio sulla flora batterica, spesso alterata nei pazienti di Parkinson, che potrebbe avere un ruolo nella comparsa della malattia. Alla base di quest’ultima c’è in effetti l’iperproduzione di una proteina che viene sintetizzata dalla mucosa intestinale il cui accumulo nel cervello diventerebbe tossico.
C’è anche una curiosa esperienza che potrebbe avere un fondamento scientifico: negli anni Ottanta un’infermiera scozzese annusando il marito aveva notato un cambiamento dell’odore abituale, ne emanava uno più pungente, simile a un muschio, dovuto a un’iperproduzione di sebo grasso nella pelle, una delle caratteristiche non motorie del Parkinson. Aveva denunciato il tutto al medico. Anni dopo il marito ha effettivamente sviluppato clinicamente la malattia. Da allora un gruppo di scienziati britannici ha lavorato per isolare le molecole che causano l’odore percepito dalla donna. Ricerca ancora preliminare che, se confermata, potrebbe aiutare a individuare precocemente il Parkinson e a capire la sua progressione.

La medicina di genere
e l’Associazione Italiana
Donne Medico

a cura

della DOTTORESSA ELIANA GAI

In caso di diagnosi di Parkinson, la risposta di uomo e donna alla terapia è la stessa?
La terapia più comune è la levodopa che, attraverso la sua penetrazione nel sistema nervoso centrale, fornisce dopamina, sostanza che viene a mancare nei malati di Parkinson. Nella malattia avanzata, dopo anni di somministrazione del farmaco, le donne sono più soggette a fluttuazioni motorie, cioè alternanza di blocchi motori e discinesie, movimenti incontrollati, eccessivi dovuti a una risposta effimera alla levodopa.  Ciò è dovuto non solo al loro minore peso corporeo ma anche a un polimorfismo genetico.
Inoltre le pazienti utilizzano meno degli uomini la terapia chirurgica, sia per minore disponibilità di accesso sia per maggiore paura per i rischi e minore iniziativa. Quelle che si sottopongono a questo tipo di trattamento hanno, quindi, una maggiore durata della malattia, gravità di sintomi e della discinesia. Visto l’esordio più benigno, ma un maggiore rischio di complicanze nel decorso della malattia, occorre impegno nel ritagliare una terapia su misura per i diversi generi.

 

 

A cura di Elisa Schiffo

 

(ottobre 2022)