Medicina di genere: la salute per le donne

Il corpo
che cambia:
maschile e femminile
in adolescenza
Quale eredità?!, per gentile concessione dell’autrice Enza Prunotto
Quale eredità?!, per gentile concessione dell’autrice Enza Prunotto

La pubertà, tempo di trasformazione, nella sua evoluzione ha profonde differenze legate al genere, in parte da attribuire agli ormoni sessuali, in parte a cause non ancora note. Differenze che si riscontrano anche nella pubertà precoce, una condizione che si verifica quando i segni di sviluppo compaiono prima degli 8 anni nelle bambine e dei 9 nei bambini, con un’incidenza nelle femmine da 10 a 20 volte superiore ai maschi.
Patrizia Santinon psichiatra, psicoterapeuta e psicoanalista, direttrice scientifica del Centro Studi Spedalità Cura e Comunità per le Medical Humanities di Alessandria, con incarico ad alta specializzazione in psicopatologia dell’adolescenza e del giovane adulto e prevenzione delle malattie mentali, è membro del gruppo “differenze sessuali e di genere” del Centro
Psicoanalitico di Pavia. Fa anche parte dell’Association Internationale d’Ethnopsychanalyse e dell’Associazione Italiana Donne medico.

Dottoressa, cosa succede se la pubertà arriva prima?
Il periodo di sviluppo puberale inizia in media tra i 10 e i 12 anni per le femmine e, nei maschi, tra i 12 e i 14 anni. Per le femmine l’esordio è segnato dal menarca. Nei maschi i segni di sviluppo puberale sono rappresentati dall’aumento del volume testicolare, dal cambio di voce, dalla crescita di ossa e muscoli. L’iniziazione sessuale permette di sentire nuovi vissuti: la ragazza vive sensazioni connesse a un corpo dotato di una cavità interna e il ragazzo si confronta con la muscolarità, con le esperienze di penetrazione prima sconosciute. Come alla nascita immaginiamo l’insediamento della psiche nel corpo così nel risveglio puberale è il corpo che si impone all’attenzione della mente costringendo l’adolescente a compiti nuovi di integrazione e di rielaborazione di vissuti sensoriali e sensuali. Quanto prima la pubertà si manifesta (imponendo la perdita del corpo infantile) tanto più la maturazione genitale rende estranee le aree corporee prima familiari. Viene quindi sovvertita la tranquillizzante sensazione infantile di poter contare su un corpo che si conosce e in cui ci si riconosce.
Nella maggior parte dei casi i cambiamenti corporei repentini creano disagi psicologici e relazionali mettendo in crisi la coincidenza tra corpo anatomico e corpo come referente identitario. La pubertà e la maturità genitale impongono una ristrutturazione profonda che riguarda il soggetto sia nella sua dimensione “verticale” e cioè relativa al mondo intrapsichico sia nella dimensione “orizzontale” che si gioca sul piano relazionale. La pubertà precoce nelle femmine nel 90% dei casi non ha una causa riconosciuta, mentre nei maschi la forma idiopatica (non si conosce la causa) riguarda solo il 60% dei casi. A questo proposito, uno studio osservazionale multicentrico coordinato dell’endocrinologia dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma ha messo in rilievo un aumento di nuovi casi di pubertà precoce nelle bambine, osservati durante la pandemia: sono stati rilevati 338 casi di pubertà precoce contro i 152 dell’anno precedente, con un aumento pari al 122%. Possiamo ipotizzare che l’impatto di fattori scatenanti ambientali sia meno significativo sui tempi della pubertà maschile e che lo stress possa agire sui neuroni che secernono GnRH (ormone di rilascio delle gonadotropine) nelle bambine che già presentavano prima della pandemia ulteriori fattori di rischio come uno stile di vita sedentario e un eccessivo uso di dispositivi elettronici. Altro settore ancora poco investigato, che può esercitare un ruolo nella pubertà precoce femminile, è quello degli interferenti endocrini (ftalati, pesticidi, isoflavonoidi, flavonoidi, fitoestrogeni presenti in alimenti, confezioni, scarichi industriali, cosmetici) dotati di struttura simile agli ormoni.
Ad esempio la presenza di fattori ambientali di esposizione quali pesticidi o PFAS (acidi perfluoroacrilici, trovati in concentrazioni 5 volte superiori tra gli abitanti prossimi allo stabilimento Solvay di Spinetta Marengo rispetto alla popolazione della stessa provincia alessandrina), può interferire sul sistema endocrino compromettendo crescita e fertilità. Le ricerche in questi importanti ambiti sono ancora scarse e devono essere incrementate.

La dottoressa Patrizia Santinon

Quale è il peso delle patologie psichiatriche in età evolutiva?
In Italia il carico di malattia sulla popolazione è pari all’11% del totale nella fascia d’età 1-4 anni, al 24% nella fascia 5-9 anni ed al 36% nella fascia 10-14 per salire ancora fino al 40% nella fase adolescenziale soprattutto per il peso legato all’abuso di sostanze. Al di sotto dei 5 anni disturbi neurologici e psichici sono presenti nella stessa misura, mentre nelle età successive i disturbi psichici superano del doppio quelli neurologici. Nelle Regioni che dispongono di una risposta articolata all’emergenza/urgenza per adolescenti con servizi specifici per l’età evolutiva (provincia autonoma di Bolzano, Toscana e Lazio) solamente 1 su 10 dei ricoveri di pazienti minorenni avviene in reparti per adulti (i cosiddetti Spdc). Al contrario, Veneto, Liguria, Piemonte e Puglia presentano un numero di ricoveri di minorenni in Spdc che varia dal 43% al 71%. Per quanto riguarda il Piemonte i posti letto per minori si trovano all’Ospedale Infantile Regina Margherita di Torino e in Neuropsichiatria Infantile ad Alessandria (4 posti letto ancora non disgiunti dalla Pediatria dell’Ospedale Infantile). Proprio in Piemonte hanno lavorato le due figure storiche di questa disciplina, Luciana Nissim Momigliano e Marcella Balconi, una delle principali fondatrici della psicoanalisi infantile in Italia con Maria Elvira Berrini e Giovanni Bollea.

Si parla di anoressia mentale come patologia prevalentemente femminile. E’ ancora così?
L’anoressia riguarda ancora oggi in misura prevalente giovani donne in fase adolescenziale anche se sempre più spesso questa sintomatologia permane anche in età adulta in forme meno gravi di fobia alimentare. Negli ultimi anni è aumentato il numero di adolescenti maschi coinvolti in percentuale minore rispetto alle ragazze con un rapporto di 1 a 10: in questi casi parliamo di anoressia inversa o vigoressia, solo in parte sovrapponibile ai disturbi alimentari e espressione di problematiche legate all’identità di genere. Recentemente anche l’età di esordio si è abbassata notevolmente e si è assistito ad una maggiore diffusione di forme “aspecifiche” che tendono a manifestarsi in entrambi i sessi. Attualmente la prevalenza è di 1 maschio affetto ogni 4 femmine nell’anoressia e 1 ogni 8-11 femmine nella bulimia.
Alla base di questa patologia culturalmente determinata ci sono spesso meccanismi psicopatologici diversi che influenzano negativamente in età evolutiva il vissuto dell’immagine corporea. Se poi collochiamo queste difficoltà dispercettive con la difficoltà a controllare le emozioni e le fobie nel contesto delle relazioni immaginiamo quanto sia complesso costruirsi una sorta di “identità estetica” in adolescenza che sia accettata dal gruppo dei pari. Le ragazze cercano di assomigliare all’immagine che la società e i media impongono, utilizzano più spesso dei maschi farmaci e lassativi; i ragazzi manifestano le preoccupazioni somatiche ricercando l’assenza di grasso e la presenza di una evidente muscolatura piuttosto che lo stretto controllo del peso corporeo: arrivano a una perdita di peso non così evidente per lo più ottenuta con un eccesso di attività fisica. Nella donna la patologia è riconoscibile per l’arresto del ciclo mestruale (amenorrea). Nell’uomo si manifesta con l’abbassamento dei livelli di testosterone e l’impotenza.

Per quanto riguarda il fenomeno del bullismo?
Anche il bullismo risente delle differenze di genere. Secondo un’indagine condotta dall’Istat le ragazze risultano essere vittime soprattutto di violenza psicologica (68% dei casi), mentre tra i maschi essa rappresenta il 35% dei casi. Prendere in giro per l’aspetto fisico o il modo di parlare è più frequente tra ragazze (7,1% femmine rispetto al 5,6% maschi), mentre botte, calci e pugni sono più riscontrabili tra i maschi (2,2% femmine rispetto al 5,3% maschi). Le ragazze, inoltre, si confidano di più con amiche e parenti (solo poco più del 25% preferisce tacere) magari nella speranza che l’episodio sia isolato, mentre il 33% dei ragazzi preferisce la via del silenzio.

Quando l’identità di genere diventa disforia di genere?
C’è molta confusione sulle questioni di genere e sono numerosi, in età sempre più precoce, gli accessi in Psichiatria di adolescenti e giovani adulti intorno a questa tematica, in cui c’è ancora molta disinformazione. Non a caso solo dal 2013 la disforia di genere (DG) ha sostituito la vecchia dizione di “disturbo dell’identità di genere” con l’obiettivo di focalizzarsi sul disagio percepito e sul vissuto emotivo provato dall’individuo che vive un’incongruenza tra il sesso biologico e l’identità di genere. Non bisogna innanzitutto confondere la varianza di genere (quando l’identità di genere o il ruolo differiscono dalle norme culturali comuni) con la disforia di genere (incongruenza tra la propria identità maschile o femminile e il genere assegnato alla nascita). Questa incongruenza può comportare un disagio clinicamente significativo che compromette il funzionamento sociale, scolastico e in altre aree importanti: per farne diagnosi occorre che il disturbo persista per almeno sei mesi. Una condizione piuttosto rara in Italia: anche se non sono state pubblicate ricerche formali sull’epidemiologia della disforia di genere nell’infanzia, secondo alcuni studi si attesta intorno al 2-3%.
Fra gli adolescenti, le indagini su gruppi clinici indicano una prevalenza tra le femmine di quattro volte superiore rispetto ai maschi. Secondo studi prospettici, nella maggioranza dei casi la disforia scompare nel passaggio tra l’infanzia e l’adolescenza (rimane solo nel 12%-27% circa dei casi), ma se perdura oltre la pubertà raramente viene superata e per questo il periodo compreso tra i 10 e i 13 anni di età è considerato di cruciale importanza. A proposito di bullismo, peraltro, la pressione sociale e relazionale che si acuisce in adolescenza contribuisce a definire un maggiore rischio di suicidio nei ragazzi e ragazze che presentano DG, rispetto alla popolazione generale.
Le persone che soffrono di DG possono chiedere l’aiuto del medico per sviluppare le caratteristiche fisiche del genere vissuto come proprio. I medici possono prescrivere terapie ormonali per l’affermazione del genere dopo che un’’équipe multidisciplinare confermi la persistenza della disforia e la presenza di un’adeguata capacità mentale cosi da dare un consenso informato al trattamento. Questo può avvenire anche a sedici anni per alcuni pazienti per quanto riguarda gli interventi reversibili (ormonali) che prevedono l’assunzione di farmaci che bloccano l’ipotalamo con interruzione della produzione di estrogeni e testosterone e dunque con l’arresto di sviluppo dei caratteri sessuali secondari. Gli interventi irreversibili o chirurgici di affermazione di genere sono previsti solo dopo la maggiore età. In Piemonte esiste il Centro interdipartimentale DG dell’Ospedale Molinette. Nella mia esperienza in reparto-adulti ho conosciuto un ragazzo che, prendendo una distanza anche fisica e ambientale dalla famiglia dalle cui aspettative e pressioni si sentiva colonizzato, è riuscito a esprimere il bisogno di ottenere un corpo congruente con l’identità percepita: ha chiesto aiuto a un servizio per la DG in regione Veneto, come universitario fuori sede.

La medicina di genere
e l’Associazione Italiana
Donne Medico

a cura

della DOTTORESSA ELIANA GAI

Quando si prescrivono i farmaci in adolescenza?
Il farmaco va utilizzato solo quando le strategie terapeutiche falliscono e con massima cautela, la prescrizione psicofarmacologica non dovrebbe mai rappresentare la prima risposta a una patologia mentale nel giovane. Non sarebbe neppure corretto fare diagnosi di disturbo di personalità in adolescenza anche perché in questa fase è ancora in costruzione. L’associazione del farmaco alla psicoterapia è prevista nei casi di grave depressione con inibizione del comportamento e dell’emotività. E’ importante inoltre responsabilizzare, per quanto possibile, il giovane paziente e informare i genitori sulle proprietà del farmaco e sui possibili effetti collaterali. La psicofarmacologia dell’adolescente dal punto di vista delle differenze di genere è poco studiata: le questioni del consenso nei minori e dell’utilizzo “off label” dei farmaci (fuori dalle indicazioni della scheda tecnica) rende tutto più complicato. C’è addirittura una discrepanza tra ciò che si legge nella scheda tecnica e poi ciò che si conosce attraverso l’esperienza clinica.

In base alla sua esperienza clinica può fare qualche esempio?
L’aripiprazolo, un antipsicotico di terza generazione, è approvato in Europa per il trattamento di pazienti con schizofrenia di età superiore ai 15 anni, così come per episodi maniacali negli adolescenti di età superiore ai 13 anni. Sebbene sia uno degli antipsicotici attualmente più utilizzati, la conoscenza delle concentrazioni sieriche nei bambini e negli adolescenti è scarsa e non sono stati ancora stabiliti intervalli terapeutici specifici per età. A causa di queste incertezze, il monitoraggio terapeutico dei farmaci è fortemente consigliato. In uno studio volto a valutare se l’intervallo terapeutico di riferimento definito per gli adulti con schizofrenia (100–350 ng/ml) fosse valido e applicabile anche ai ragazzi, le analisi hanno rivelato che i livelli sierici di aripiprazolo sono influenzati in modo significativo dal sesso, con concentrazioni sostanzialmente maggiori nelle ragazze rispetto ai ragazzi (244,9 contro 173,4 mg / l). Se si legge invece la scheda tecnica del farmaco di Ema Europa (European Medicin Agency) si legge che non ci sono differenze nella farmacocinetica di aripiprazolo tra uomo e donna e non viene richiesto alcun aggiustamento di dosaggio per pazienti di sesso femminile in confronto a quelli di sesso maschile.
Un altro farmaco largamente utilizzato in psichiatria, il valproato, nato come antiepilettico e utilizzato poi come stabilizzante dell’umore, non deve essere utilizzato in bambine, adolescenti e donne in età fertile e in gravidanza “a meno che i trattamenti alternativi siano inefficaci o non tollerati” a causa del suo potenziale teratogeno e del rischio di disturbi dello sviluppo in neonati esposti in utero al trattamento. Non è cosa poi così scontata l’applicazione di una legge, la 219/2017 in cui “è promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato”. Mi è capitato lo scorso anno di ricoverare una giovane ragazza con storia di disturbo psicotico che aveva interrotto la gravidanza poiché in trattamento proprio con valproato, dei cui rischi sul neuro-sviluppo del feto non era stata informata dal medico che l’aveva in cura.

 

A cura di Elisa Schiffo

 

(settembre 2022)