Ho detto il mio nome

Il ponte del cimitero di Asti me lo ricorderò per tutta la vita: è la zona dove mi hanno portata.
La mia storia di prostituta è durata solo poche ore e, per fortuna, senza conseguenze: sono riuscita a fuggire. Ho avuto coraggio.
Il mio paese è il Ghana. Facevo la poliziotta penitenziaria, sette anni in un carcere. Due figli e un amore perso. Perciò quando un conoscente nigeriano, che faceva business, mi ha parlato dell’Italia e della possibilità di essere pagata molto di più come poliziotta, ho pensato che era una buona idea. Volevo cambiare vita. Mi ha convinta così: “Ti pago il viaggio, poi i soldi me li restituisci”.
Mai saputo quello che succedeva alle straniere in Italia.
Il nostro viaggio è stato lunghissimo. Aereo dal Ghana a Dubai, poi Istanbul, Kosovo, Macedonia in bus, Grecia in treno, in aereo fino alla Repubblica Ceca, dove ci siamo separati. Ha detto: “Io vado in Spagna, tu a Milano: all’uscita c’è uno che ti aspetta, ha il tuo nome”. Da Milano a Torino in macchina. Alla fine a casa di una signora dove avrei dormito. C’erano alcune ragazze nigeriane.
Dopo cena la donna ha detto: “Domani andrai a lavorare con loro”.
“E’ tutto già pronto” ho pensato: chissà perché ho creduto che, per prima cosa, mi mandassero in un ristorante.
La maman mi ha aperto gli occhi: “Ma chi ti ha portato qui non ti ha detto a fare cosa? Tu questo lavoro devi fare: la prostituta sulla strada”.
Ho cominciato a tremare. La notte non ho chiuso occhio, avevo un solo pensiero: “Domani faccio finta di niente, vado e scappo”. Ho pregato tanto. Il giorno dopo ho preso il treno per Asti con altre due ragazze, più giovani di me. Abbiamo camminato dalla stazione al cimitero. Lì hanno cominciato a insegnarmi: “Guarda come si fa a fermare le macchine. Appena arriva il cliente chiedi 50 euro, se poi fa storie 30”. Dopo un po’ è cominciata la loro giornata e sono andate via.
C’era un’altra ragazza sulla strada a cui ho chiesto: “Mi puoi aiutare? Sono disperata, io questo lavoro non lo voglio fare”. Ha accettato di darmi una mano perché non ero nigeriana. Mi ha messo in mano un volantino: “Chiama questo numero e adesso vai, cammina, cammina”. Era il numero del Piam.
Ho preso la strada verso il centro. La notte ho dormito sotto un albero: ancora adesso non so esattamente dove, non conoscevo niente della città. Al mattino presto sono tornata in stazione e ho chiamato il Piam da una cabina telefonica: era l’unico punto che avrei saputo indicare.
Ha risposto Alberto, il presidente: “Aspettami lì, vengo a prenderti con una signora”. Era la mediatrice culturale, parlava la mia lingua Mi sono seduta su una panchina ad aspettare. Quante sorprese può riservarti la vita.
Dopo un po’ è arrivata una macchina: la mia salvezza. Ho detto il mio nome. Prendendomi con loro mi hanno restituito la libertà. Era un giorno d’estate del 2007.
Sono passati 12 anni da allora. Vivo ad Asti con i miei figli.
Convincere le donne a lasciare la strada è diventato il mio primo impegno.