Le persone assistite dai Centri di Salute Mentale sono in media 143,4 ogni 10 mila abitanti. Lo dice il Rapporto nazionale del Ministero della Salute pubblicato nell’ottobre 2021 da cui emerge tra l’altro che la fetta più numerosa dei pazienti ha più di 45 anni (69%). Le donne sono il 53,6%, gli uomini il 46,4%.
Pietruzza Bucolo, psichiatra e psicoterapeuta, in forza al Dipartimento di Salute Mentale dell’Asl di Asti, è socia della sezione astigiana dell’Associazione Donne Medico. E’ anche iscritta alla Società Psicoanalitica Italiana.
Dottoressa qual è il confine tra disagio psicologico e malattia mentale?
Sono due fenomeni che richiedono un intervento differente. Spesso il primo a discriminare tra i due è il medico di famiglia che indirizza la persona che chiede aiuto. Nel primo caso è utile un intervento di tipo psicologico che si può realizzare con un percorso psicoterapeutico. Nel caso di malattia, invece, l’intervento può essere di tipo farmacologico o integrato. Tradotto significa che allo psichiatra occorre affiancare altre figure professionali come uno psicoterapeuta, e nei casi più complessi, anche figure specifiche come infermiere, educatore, tecnico della riabilitazione, assistente sociale. Percorso che si rende necessario per chi ha bisogno di essere accompagnato in molteplici aspetti della sua vita, sanitario, riabilitativo, relazionale, lavorativo.
Ci sono malattie per cui le donne sono più predisposte?
Ci sono importanti differenze di genere per gruppo diagnostico. Il disturbo schizofrenico, di personalità, di abuso di sostanze e il ritardo mentale sono maggiori negli uomini, i disturbi affettivi, nevrotici e depressivi colpiscono di più le donne. In particolare per la depressione il tasso di pazienti donne è doppio rispetto a quello degli uomini (40,4 contro l 24,2 ogni 10 mila abitanti). Tra le cause più spesso nominate dalle donne ci sono la violenza fisica e psicologica (77% dei casi), i lutti, la solitudine, le malattie mediche. Sempre per le donne incidono inoltre anche fattori sociali come il basso livello sociale e la continua responsabilità della cura degli altri.
La risposta ai farmaci è la stessa?
L’uomo e la donna hanno differenze fisiche che si ripercuotono anche nella risposta ai farmaci. Basti pensare alla massa corporea o alla differente distribuzione del tessuto adiposo. Inoltre nelle donne esistono delle differenze che riguardano le fasi della vita in cui si trovano (età fertile, la gravidanza, la menopausa) perché il corpo cambia e conseguentemente anche la risposta ai farmaci. Uno stesso farmaco può dare quindi differenti effetti collaterali a seconda del genere, ad esempio il risperidone, farmaco utilizzato nei casi gravi di psicosi e depressione ha due bersagli e manifestazioni diverse: nella donna può portare all’aumento della stimolazione della ghiandola mammaria con perdita di latte, negli uomini difficoltà nella sfera sessuale. Le donne sono anche maggiori utilizzatrici di farmaci e presentano un tasso più elevato di ricoveri ospedalieri. Soffrono di ansia, di insonnia e si automedicano, tendono ad abusare in particolare con la famiglia delle benzodiazepine (tra cui il Tavor, lo Xanax). Comportamento assolutamente nocivo.
Cambia anche il modo di metabolizzarli?
Esistono differenze di genere negli organi che servono alla metabolizzazione dei farmaci. Il fegato delle donne, ad esempio, produce in quantità minore un enzima (deidrogenasi) che permette di eliminare gli alcolici. Quindi le donne assumendo alcol raggiungono prima lo stato di intossicazione, ecco perché per loro l’associazione di vino e liquori con i farmaci diventa più pericolosa. L’attività quotidiana del medico, in generale, e dello psichiatra, in particolare, deve quindi considerare le differenze tra donna e uomo per garantire la cura più appropriata.
A cura di Elisa Schiffo
(giugno 2022)